SI TE GRATA QVIES ET PRIMAM SOMNVS IN HORAM DELECTAT,
SI TE PVLVIS STREPITVSQUE ROTARVM, SI LAEDIT CAVPONA,
FERENTINVM IRE IVBEBO;
NAM NEQVE DIVITIBVS CONTINGVNT GAVDIA SOLIS …
(Orazio – Epistularum Liber I, 17, vv. 6-9)
SI TE GRATA QVIES ET PRIMAM SOMNVS IN HORAM DELECTAT,
SI TE PVLVIS STREPITVSQUE ROTARVM, SI LAEDIT CAVPONA,
FERENTINVM IRE IVBEBO;
NAM NEQVE DIVITIBVS CONTINGVNT GAVDIA SOLIS …
(Orazio – Epistularum Liber I, 17, vv. 6-9)

Palazzo De Andreis

Palazzo De Andreis
Scendendo verso Borgo S. Agata lungo Via Consolare, nelle vicinanze dell’ex foro e delle antiche terme di Flavia Domitilla, di fronte alla Chiesa di San Pancrazio, si trova il Palazzo De Andreis, dal nome della famiglia che lo ha posseduto ultimamente.
È un’abitazione medievale caratterizzata da una facciata in pietra con due ampi finestroni sormontati da altrettante finestre quadre.
Appartenuto, dapprima, ai Cajetani, passò, a seguito di legami matrimoniali, secondo alcuni, ai de Andreis (giunti a Ferentino, discendenti di Perretto De Andreis al seguito del Re di Napoli Carlo III d’Angiò Durazzo prima, e del figlio Ladislao poi). Il Palazzo è uno dei più antichi edifici ad uso abitativo di Ferentino. Dalla sua Loggia esterna si sono affacciati, per ricevere il saluto della popolazione, ben due Re. Il primo è stato Ferdinando IV Re di Napoli (che diventerà, Ferdinando I Re delle Due Sicilie) nel 1798, quando con le sue truppe era diretto a Roma in soccorso del Papa durante l’occupazione francese. Il Re fu ospite della Famiglia de Andreis dal 25 al 27 novembre e per riconoscenza dell’ospitalità ricevuta, concesse alla Famiglia l’onore di poter esporre sulla facciata esterna del Palazzo lo stemma reale borbonico.
L’altro regale personaggio ospite del Palazzo è stato il futuro Re d’Italia Umberto II. Il 16 dicembre 1923 l’allora Principe Ereditario, dopo aver inaugurato il Monumento ai Caduti della Guerra 1915-1918, si affacciò dal balcone del Palazzo de Andreis per ricevere il saluto della folla.
Interessante all’ingresso l’ esistenza ai lati degli stipiti del portone, di due colonnine in pietra (una, purtroppo, parzialmente perduta). Queste colonnine, alte un metro e larghe 25 centimetri, aventi alla sommità un anello di ferro tenuto da una zeppa metallica forata conficcata nella pietra all’apice delle stesse, segnavano il limite di extraterritorialità tra l’area del Palazzo e la città. I messi della giustizia non potevano, cioè, entrare all’interno del Palazzo per perquisire o arrestare qualcuno. In poche parole, un malvivente che si fosse rifugiato nell’edificio avrebbe goduto del diritto di asilo e non avrebbe potuto essere arrestato, fino a che fosse rimasto all’interno. Oggi questo privilegio può essere assimilato allo status giuridico
delle sedi diplomatiche all’estero, che, pur essendo ubicate nel territorio di un altro Stato, non sono soggette alla autorità di quest’ultimo, per il principio di extra-territorialità. Sicuramente questo privilegio è stato concesso dallo stesso Ferdinando IV, per il fatto di aver dimorato nel 1789 nel Palazzo De Andreis.
Il privilegio, oltre a perpetuare il ricordo del soggiorno del Sovrano o un Principe della sua Famiglia Reale, decretava anche l’immunità dell’edificio, come se fosse una dimora dello stesso Sovrano. Troviamo concessioni fatte da Carlo III di Borbone fin dal 1735. Nella nostra attuale provincia di Frosinone, Carlo III concesse tale privilegio nel 1744 alle famiglie dei Marchesi Battiloro di Arpino e dei Campanari di Veroli. Le concessioni della “catena reale”, adottate nel XIX secolo dai Re Borboni, su petizione degli interessati o motu proprio, risultano conferite con decreto reale pubblicato nella Collezione ufficiale delle leggi e decreti. Le ultime concessioni fatte negli anni 1851-1853 modificarono in parte gli effetti del privilegio, nel senso che la concessione non comportava più alcuna specie di prerogative o diritti. Questo privilegio così singolare scomparve con la fine della dinastia borbonica, quando il Regno delle Due Sicilie, con il plebiscito del 21 ottobre 1860, venne annesso al Regno di Sardegna dei Savoia, trasformatosi, poi, in Regno d’Italia il 17 marzo 1861.
Il Palazzo, per il suo interesse storico e artistico, dal 17 novembre 1917 è stato sottoposto a vincolo da parte del Ministero della Istruzione Pubblica – R. Sovrintendenza ai monumenti del Lazio e degli Abruzzi, vincolo confermato il 23 aprile 2002 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici.

ARMA DI PAPA INNOCENZO X

Nella corte interna al Palazzo De Andreis è presente un manufatto in pietra, in alcuni punti danneggiato, delle dimensioni attuali di ca. 103 x 73 cm ., raffigurante l’ arma di Papa Innocenzo X Pamphilj (1574-1655), che fu papa dal 1644 al 1655. Lo stemma dei Pamphilj è di rosso, ad una colomba d’argento, tenente nel becco un ramoscello d’ulivo di verde; col capo d’azzurro, caricato di due pali di rosso alternati con tre gigli d’oro. Nello stemma presente nella corte non risultano scolpiti la colomba né i tre gigli. Sono presenti, invece, le chiavi decussate, anche se danneggiate, mentre non è presente il triregno. L’arma fu fatta scolpire nel 1645 dal Consiglio comunale di Ferentino, presieduto da Ascanio Tibaldeschi, con la somma di 3 scudi, ricavati dalla vendita al Cardinal Camillo Francesco Maria Pamphilj, nipote del Papa, di una statua di Giove conservata a Ferentino. La vendita della statua, sollecitata dal Cardinale, fu proposta dal Vescovo di Ferentino Mons. Enea Spennazzi e approvata dal Governatore di Marittima e Campagna.

EPIGRAFI LATINE NEL PALAZZO DE ANDREIS

1) FORTUNAE SACRUM VOTO SUSCEPTO C. CALLAEUS SECURUS
Traduzione

2) CAECILIO OLYMPICO AVO ET CATIAE L · F · PRIMILLAE MATRI IDEM QVIRINALIS QUINQVENNALIS

Parte di una iscrizione funeraria. Secondo il Mommsen, nella parte perduta doveva esserci CAECILIO PATRI CAECILIUS QUIRINALIS
Traduzione: All’avo Cecilio Olimpico, alla figlia Catia e alla madre Primilla, lo stesso (figlio) Cecilio Quirinale (magistrato) eletto per cinque anni (dedica) al padre Cecilio.

L’opinione di Alfonso Bartoli è che i due Cecili, padre defunto e figlio dedicante, siano i due senatori Cecili padre e figlio ambedue di cognome Quirinalis nominati nel decreto del Senato. L’ipotesi è basata sul fatto che fra i tantissimi Cecili soltanto i due senatori di Ferentino portano il cognome Quirinalis.
(Cfr. Ferentino – Studi e ricerche – Monumenti e memorie, Comune di Ferentino, 1966, pp. 21, 22).