SI TE GRATA QVIES ET PRIMAM SOMNVS IN HORAM DELECTAT, SI TE PVLVIS STREPITVSQUE ROTARVM, SI LAEDIT CAVPONA, FERENTINVM IRE IVBEBO; NAM NEQVE DIVITIBVS CONTINGVNT GAVDIA SOLIS … (Orazio – Epistularum Liber I, 17, vv. 6-9)
SI TE GRATA QVIES ET PRIMAM SOMNVS IN HORAM DELECTAT, SI TE PVLVIS STREPITVSQUE ROTARVM, SI LAEDIT CAVPONA, FERENTINVM IRE IVBEBO; NAM NEQVE DIVITIBVS CONTINGVNT GAVDIA SOLIS … (Orazio – Epistularum Liber I, 17, vv. 6-9)
Giovane soldato, vigoroso di aspetto, elevato in grado, bene accetto al suo comandante del quale godeva fiducia e stima; profondamente devoto a Cristo, cui si era consacrato con giovanile entusiasmo, pronto a dare le prove più luminose della sua fede e del suo amore.
Di origine ligure, partì sicuramente da Roma quando giunse a Ferentino: era l'anno 304. Il giovane soldato, a cavallo, alla testa della sua centuria, fece il suo ingresso nella città, destinata ad essere il campo della più gloriosa battaglia. E qui cercò dove si nascondessero i fratelli, il piccolo gregge di Cristo, riunito intorno al Pastore, per il quale – forse – portava notizie del Vescovo di Roma. Conobbe, infatti, il Pastore e i fratelli; ma ciò non rimase segreto al suo più grande nemico. Ambrogio venne accusato di alto tradimento per aver contravvenuto alle leggi dell'imperatore Diocleziano. L'accusa venne portata al tribunale di Daciano, Governatore delle Spagne, che aveva arruolato il giovane al suo seguito e l'aveva caro ma, avendo più caro il favore dell'imperatore, radunato il popolo e fattosi condurre innanzi Ambrogio, gli contestò l'accusa, sperando in una pronta ed esauriente discolpa. Ma Ambrogio lo disilluse.
Io adoro Cristo e a lui ho promesso fedeltà per sempre, così rispose.
Trascorsi alcuni giorni, Daciano tentò di persuaderlo di nuovo; ma, trovato Ambrogio più costante che mai nella sua confessione, si accese di sdegno e, cambiata la benevolenza in furore, ordinò che il Centurione fosse degradato e gettato carico di catene nel sotteraneo di quel suo palazzo, la cui mole ciclopica, se sfida ancor oggi i secoli per la grandiosità della struttura, molto più si eterna per il glorioso ricordo. Ambrogio fu, dunque, condannato a morte e Daciano vietò di fornirgli qualsiasi sorta di cibo; e, nel timore che un momento di debolezza potesse fargli revocare quell’ordine così crudele, si allontanò dalla città per un’ispezione in Campania. Al suo ritorno, dopo circa un mese, pensando di non trovare più il prigioniero, dovette ricredersi, in quanto Ambrogio non era ancora morto. Morì, infatti, decapitato il 16 agosto del 304 nell’Aia del Monticchio.
Giovane soldato, vigoroso di aspetto, elevato in grado, bene accetto al suo comandante del quale godeva fiducia e stima; profondamente devoto a Cristo, cui si era consacrato con giovanile entusiasmo, pronto a dare le prove più luminose della sua fede e del suo amore.
Di origine ligure, partì sicuramente da Roma quando giunse a Ferentino: era l'anno 304. Il giovane soldato, a cavallo, alla testa della sua centuria, fece il suo ingresso nella città, destinata ad essere il campo della più gloriosa battaglia. E qui cercò dove si nascondessero i fratelli, il piccolo gregge di Cristo, riunito intorno al Pastore, per il quale – forse – portava notizie del Vescovo di Roma. Conobbe, infatti, il Pastore e i fratelli; ma ciò non rimase segreto al suo più grande nemico. Ambrogio venne accusato di alto tradimento per aver contravvenuto alle leggi dell'imperatore Diocleziano. L'accusa venne portata al tribunale di Daciano, Governatore delle Spagne, che aveva arruolato il giovane al suo seguito e l'aveva caro ma, avendo più caro il favore dell'imperatore, radunato il popolo e fattosi condurre innanzi Ambrogio, gli contestò l'accusa, sperando in una pronta ed esauriente discolpa. Ma Ambrogio lo disilluse.
Io adoro Cristo e a lui ho promesso fedeltà per sempre, così rispose.
Trascorsi alcuni giorni, Daciano tentò di persuaderlo di nuovo; ma, trovato Ambrogio più costante che mai nella sua confessione, si accese di sdegno e, cambiata la benevolenza in furore, ordinò che il Centurione fosse degradato e gettato carico di catene nel sotteraneo di quel suo palazzo, la cui mole ciclopica, se sfida ancor oggi i secoli per la grandiosità della struttura, molto più si eterna per il glorioso ricordo. Ambrogio fu, dunque, condannato a morte e Daciano vietò di fornirgli qualsiasi sorta di cibo; e, nel timore che un momento di debolezza potesse fargli revocare quell’ordine così crudele, si allontanò dalla città per un’ispezione in Campania. Al suo ritorno, dopo circa un mese, pensando di non trovare più il prigioniero, dovette ricredersi, in quanto Ambrogio non era ancora morto. Morì, infatti, decapitato il 16 agosto del 304 nell’Aia del Monticchio.
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