SI TE GRATA QVIES ET PRIMAM SOMNVS IN HORAM DELECTAT, SI TE PVLVIS STREPITVSQUE ROTARVM, SI LAEDIT CAVPONA, FERENTINVM IRE IVBEBO; NAM NEQVE DIVITIBVS CONTINGVNT GAVDIA SOLIS … (Orazio – Epistularum Liber I, 17, vv. 6-9)
SI TE GRATA QVIES ET PRIMAM SOMNVS IN HORAM DELECTAT, SI TE PVLVIS STREPITVSQUE ROTARVM, SI LAEDIT CAVPONA, FERENTINVM IRE IVBEBO; NAM NEQVE DIVITIBVS CONTINGVNT GAVDIA SOLIS … (Orazio – Epistularum Liber I, 17, vv. 6-9)
Era il mestiere del venditore di vino al minuto. Un grande tavolo con due lunghe panche, sistemato tra le botti o davanti alla porta della cantina ospitava gli abituali bevitori che, tra una partita, una mangiata di lupini o di “callarostu”1, ordinavano il litro o la “figlietta”2. Il cantiniere ad ogni richiesta spillava con piacere il vino dalla botte attraverso la “caula”3, ma più le richieste si moltiplicavano per gli stessi bevitori, più interrogativo si faceva il suo sguardo su di loro temendo i fumi del vino. Non di rado infatti, detti locali erano centro di risse e di litigi per un nonnulla. La cantina era il dopolavoro, l'hobby, il passatempo di molti e purtroppo l'ambiente preferito degli alcolizzati che venivano alla sera, letteralmente trascinati da amici e parenti, tra canti o parolacce, verso la propria abitazione. Il cantiniere, durante la settimana e nel periodo delle feste patronali era in grado di ammannire ai clienti e piccole merende, piatti speciali o intingoli gustosi, saporiti e pepati perché richiedessero da bere. Ricordiamo : pane e pecorino, i fegatelli di maiale al profumo di alloro, “lu ciammottu”4 al pomodoro, “gli baccalà” arrosto, “lu tengu alla uracia”5 e il tipico piatto detto “trippetta” al sugo. In questo servizio era coadiuvato dalla moglie che di solito non appariva in cantina. Cantinieri stagionali possiamo chiamare quelli che in un certo periodo dell'anno aprivano la propria cantina per vendere vino di loro produzione. La vendita durava da quindici a venti giorni, fino a quanta cioè la botte destinata al pubblico non si vuotava. Si trasformavano così in bettole cantine di privati che, chiesta una licenza temporanea al Comune, e, pagato il dazio, allestivano l'occorrente per vendere ai clienti. Non era ancora il tempo delle insegne luminose o il neon ; gli uomini si servivano di ciò che offriva loro la natura. Tagliato un frondoso ramo di quercia o di elce, si esponeva sull'architrave della porta, munito di un cartellino legato con lo spago che indicava il prezzo del vino (Vino alla frasca) e di una lanterna ad olio che si'accendeva la sera. Ancora le foglie del ramo non si erano completamente disseccate che già la cantina aveva chiuso i battenti. Infatti il vino dei privati veniva venduto oltre che al minuto, a fiaschi e a damigiane alle famiglie che non avevano la vigna e preferivano il vino dei privati fatto senza “cotta”6 cioè a basso grado di alcoolicità. Oggi i cantinieri sono quasi scomparsi; il vino è venduto nei bar insieme ad altri alcoolici e bibite varie.
Maria Celani Alessi da “Arti e Mestieri di Ferentino di Ieri”
1 callarrostu = caldarroste 2 figlietta = mezzo litro 3 caula = cannello di legno che si applica alla botte per spillare il vino; 4 ciammottu = lumache; 5 tengu alla uracia = aringhe alla brace. 6 cotta = procedimento utilizzato per aumentare il grado alcoolico.
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